Marco Scotti, dottore di ricerca in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Parma, è assegnista di ricerca presso lo CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione, oltre che curatore e storico dell’arte contemporanea.
È stato nostro ospite a Bologna per Aperture straordinarie, l’incontro su open innovation e partecipazione culturale e ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda su uno dei luoghi più suggestivi di ricerca, conservazione e valorizzazione della cultura Italiana, per cui lavora e che siamo andati a visitare in occasione dell’imperdibile mostra su Ettore Sottsass.
Nato come un centro di raccolta delle arti visive e del design dell’Università di Parma, delineatosi sempre più come un luogo di archiviazione, conservazione, ricerca e valorizzazione a cui, negli ultimi anni, si è aggiunta una sempre maggiore spinta verso l’apertura al pubblico grazie a mostre, attività didattiche e servizi di accoglienza che vanno dal bistrot alla foresteria. Una volta che si entra allo CSAC si ha l’impressione di non aver più bisogno del mondo fuori, di potersi perdere e ritrovare tra collezioni e archivi, senza l’aiuto di google.
Che cosa siete esattamente oggi e cosa volete diventare da grandi?
Io posso rispondere dal punto di vista di chi si è occupato di alcuni dei progetti e delle strategie digitali dello CSAC, e penso che oggi questa istituzione sia tante cose. La sua storia, i suoi archivi e le sue collezioni sono un patrimonio straordinario, su cui abbiamo la fortuna di lavorare ogni giorno. Siamo un archivio e un centro di ricerca, con un’attività quotidiana che sembra quasi invisibile dall’esterno ma che in realtà è frenetica e cerca di conservare e valorizzare al meglio i materiali conservati qui all’Abbazia di Valserena, attraverso strategie digitali e non, collaborazioni e a un network di partner che include alcune istituzioni e musei tra i più importanti al mondo. Ad esempio stiamo lavorando insieme al museo Reina Sofia di Madrid, Folkwang di Essen e Jeu de Paume di Parigi per la grande monografica in corso dedicata a Luigi Ghirri. Poi siamo un centro dell’Università di Parma, quindi la didattica sarà sempre strettamente integrata in tutte le nostre attività. Inoltre oggi abbiamo scelto di essere uno spazio espositivo che – come lo CSAC ha sempre fatto – organizza mostre e realizza pubblicazioni, ma che è anche aperto praticamente tutto l’anno, ogni giorno, e deve quindi ragionare come qualsiasi altro museo o centro espositivo.
Insomma, abbiamo un’identità – almeno speriamo – abbastanza precisa ma tante linee di ricerca e progettazione, e per il futuro speriamo di crescere sotto ogni aspetto. Una delle sfide in questi anni è stata proprio cercare nuove prospettive per animare gli archivi, dopo anni in cui la priorità era raccogliere e preservare un patrimonio. Vorremmo che il nostro pubblico potesse perdersi nelle mostre, nell’abbazia, ma anche sfogliando il nostro catalogo on-line o cercando storie e frammenti sui nostri profili social.
2. É stata molto evidente la volontà di aprirsi a un pubblico più vasto rispetto ai meri studiosi e ricercatori, attraverso le mostre, le collaborazioni con importanti manifestazioni come Fotografia Europea e tutto il lavoro di comunicazione web e social su cui siete molto forti. Chi è il vostro pubblico oggi? Chi invece non lo è ma state lavorando affinché lo diventi?
Il nostro pubblico vorremmo fosse il più ampio e vario possibile: è ovvio che gli addetti ai lavori, gli appassionati, i professionisti oppure gli studiosi, sono i primi a conoscere e a tuffarsi con entusiasti dentro i nostri archivi, a visitare le mostre e a sfogliare i cataloghi. Tutto il lavoro che stiamo portando avanti con gli strumenti digitali – ma anche attraverso progetti, collaborazioni, incontri, residenze, rassegne cinematografiche e musicali – vuole cercare nuovi punti di vista, nuovi modi di raccontare un insieme di materiali incredibili ma profondamente eterogenei, che hanno bisogno appunto del lavoro di tutti, dai curatori fino agli addetti comunicazione – per poter interessare anche, chi fino a oggi, non li aveva magari neppure mai guardati, e raccontare storie incredibili.
3. Come si fa a raccontare una realtà così ricca e sfaccettata ma, soprattutto, come si raccontano tutte le incredibili storie che ci sono dentro? E, tornando al pubblico, avete pensato a come coinvolgerlo in modo attivo, così che possa contribuire ad arricchire tutto questo patrimonio o, semplicemente, aiutarvi a raccontarlo?
Non credo ci sia una formula magica, noi proviamo ogni giorno a sfruttare gli strumenti che abbiamo a disposizione. L’idea alla base di tutto il lavoro è appunto quella di dare vita a immagini, progetti, storie che da anni sono chiuse nei cassetti degli archivi, e di farlo integrando tutte le straordinarie competenze delle persone che lavorano qui. Poi il risultato può essere una pagina sul sito, come succede con l’opera del mese, una storia su Instagram o un articolo su una rivista, così come una mostra ovviamente. Il pubblico è fondamentale, cerchiamo di ascoltarlo sempre anche attraverso le nostre pagine social, di raccogliere suggerimenti, critiche e incoraggiamenti, di coinvolgerlo e incuriosirlo: dallo studio dei dati ai messaggi che riceviamo, dalle recensioni agli scambi di battute su Twitter e Facebook, crediamo che tutto possa essere una risorsa, per progettare le nostre strategie così come per scoprire dettagli e storie nascosti negli archivi.
4. Ci racconti (in breve) una storia che non è ancora stata raccontata?
Le storie legate e contenute in questi archivi sono tantissime, e dovete per forza venire di persona a scoprirle. Ad esempio, oggi con i curatori della sezione fotografia stavamo guardando alcuni scatti dagli archivi Publifoto relativi all’incendio nel 1947 della Minerva Film: in quel rogo fu coinvolta la storica lettera di Ingrid Bergman a Roberto Rossellini – poi miracolosamente scampata alle fiamme – con cui l’attrice si proponeva per la prima volta al regista. Ci piacerebbe raccontare questa celebre storia da nuovi punti di vista… Ma per il resto vi aspettiamo a Parma!
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Crediti fotografici:
- foto Abbazia di Valserena – CSAC
- foto di Marco Scotti – Marco Caselli per Museomix Italia.