I numeri di Museomix oggi contano, eccome se contano! 8 edizioni, 66 musei remixati in 12 differenti Paesi e il tutto avviene ogni anno in soli 3 giorni…
Quest’anno Alice Balerna, ex tirocinante di BAM! e la nostra Elena Bertelli hanno scelto di andare a spiare da molto vicino cosa è successo in Belgio. Tra comunicatori, maker, programmatori e facilitatori a Mons c’erano anche loro. Questo spazio è per il racconto dei 3 giorni di Museomix 2018, visti dagli occhi di Alice, che sta per laurearsi con una tesi incentrata sulle pratiche di audience development e partecipazione nelle istituzioni culturali ed ha vissuto il suo primo Museomix con entusiasmo e spirito critico. Buona lettura!
Scese dal treno e dopo una breve pausa pranzo, la curiosità era troppo forte e ci siamo subite intrufolate all’interno del BAM -museo di Belle Arti, che sarebbe diventato il luogo in cui creare, progettare e comunicare il nostro prototipo nei tre giorni successivi, durante Museomix.
Le opere di Niki de Saint Phalle davano colore e quel non so che di surrealismo a un Techshop (il magazzino di tecnologie ed elettronica che durante ogni Museomix viene messo a disposizione delle squadre) da paura: webcam, strumenti audio e di virtual reality, stampanti 3D, macchine laser. La Mixroom all’ingresso del museo – lo spazio dedicato al team comunicazione, che lavora h 24 per raccontare al resto del mondo cosa succede durante Museomix – , la grande sala all’ultimo piano con vista sulla città in cui avremmo consumato i pasti tutti insieme, dopo le riunioni plenarie… sembrava QUASI tutto pronto.
L’indomani, scelti i terreni di gioco (i temi guida elaborati dai musei su cui realizzare i prototipi) e formate le squadre, tra infinite quantità di cioccolata e litrate di caffè, tutti i partecipanti hanno iniziato a scambiarsi idee. Le tematiche presentate ci sono apparse fin da subito sfidanti e hanno dato animo allo spirito creativo di tutti i mixers.
Ad ogni prototipo era strettamente legato un terreno di gioco: da un lato il tema della temporaneità delle manifestazioni culturali e della loro interazione con il carattere permanente delle collezioni artistiche; dall’altro quello dell’attivazione di possibili connessioni tra i diversi spazi espositivi; ma non solo. Altri terreni proposti sono stati: il dialogo tra l’istituzione culturale (in) e il contesto cittadino in cui questa è inserita (out), la concezione del museo non solo come luogo d’élite ma come ambiente di accoglienza: “una seconda casa” per i visitatori. Una squadra poi si è concentrata sul come e il quando raccogliere il feedback del pubblico. Infine una grande scommessa si è giocata cercando una soluzione al rendere visibile l’arte custodita nei musei ma non esposta nelle sue stesse sale.
Dopo le prime fasi di brainstorming, i gruppi di lavoro hanno effettivamente iniziato a dare corpo e forma alle loro idee. La creazione di una mappa interattiva e un’applicazione multimediale hanno permesso al pubblico di immedesimarsi in San Giorgio, abile sfidante del drago, protagonista del Museo Doudou. Le connessioni tra i diversi musei sono state ripensate mediante l’installazione di monitor interattivi attraverso i quali i visitatori avrebbero potuto interfacciarsi da un museo all’altro, ciabatte con sistemi Arduino e comodi letti affianco alle opere ti avrebbero fatto sentire come se fossi nel salotto di casa. I feedback avrebbero dato vita ad un avatar con forma e colore scelti in base a sensazioni e percezioni provate lungo il percorso di vista; mentre l’arte preservata ma inaccessibile dell’Artotheque sarebbe stata scoperta guardando attraverso l’obiettivo di una particolare “macchina fotografica”.
Ma cosa ci ha stupito di questo Museomix?
Da subito qualcosa di diverso è successo: in ogni team non c’era un solo comunicatore, un solo maker o un solo mediatore ma ognuno è uscito dal proprio ruolo. Esperti di contenuti che davano idee ai comunicatori, mediatori che facevano da spalla ai maker e che correvano avanti e indietro dal Techshop, facilitatori che diventavano all’occorrenza grafici. È da dire anche che tra codici, linguaggi informatici, progettazione di applicazioni, i programmatori non potevano sperare nell’aiuto di nessuno nonostante il forte spirito di adattamento e la fluidità dei ruoli.
Dopo 3 giorni, in cui sono stati remixati 3 differenti sedi di un Polo Museale che ne conta 11 e prodotti 6 prototipi, possiamo dire che a Mons è stato un Museomix davvero internazionale. Infatti, oltre a noi dall’Italia, c’erano esperti un po’ da ogni dove: dalla Grecia alla Francia, passando per l’Olanda e la Svizzera e andando fino oltre oceano in Messico.
La Domenica pomeriggio, dopo un pranzo sempre al volo e gli ultimi preparativi, abbiamo contribuito ad accogliere il pubblico per il test di quanto realizzato durante la maratona: i musei erano aperti e i prototipi pronti… questo era quello che ci aspettava! Purtroppo qualcosa non ha funzionato fino in fondo. Una squadra costretta a fare ritorno senza aver coinvolto il pubblico, d’altronde nessuno aveva comunicato al museo di prolungare l’orario di apertura; alcuni prototipi ancora bisognosi di qualche ritocco e un generale senso di mancato dialogo tra gli organizzatori della community belga di Museomix e i responsabili del Polo Museale di Mons.
Se non tutte le creazioni dei mixers erano pienamente funzionanti (se tutto andasse alla perfezione che prototipi sarebbero?), il loro smontaggio immediato alle 18 della domenica dopo la chiusura dei musei, è ciò che ci ha lasciate realmente perplesse: la stessa Domenica sera, una volta chiuso il museo e senza quindi dare la possibilità al pubblico, come invece vorrebbe il format, di poterli testare anche nei giorni successivi, dando così giusto spazio di visibilità e riflessione al lavoro di 3 giorni compiuto dalle squadre. Abbiamo quindi cercato di capirne le ragioni e chiacchierando con gli organizzatori abbiamo scoperto che ciò è successo perché tutte le componenti tecnologiche utilizzate dovevano tornare al più presto ai partner, che le avevano date in prestito.
Allora cosa può essere mancato a questo Museomix a Mons?
All’inizio vi abbiamo dato un’informazione non del tutto corretta. Sì, è vero Museomix si svolge in 3 giorni ma in realtà la sua progettazione va ben al di là di un singolo weekend. Servono infatti mesi di preparazione per creare una community. Museomix se vuole andare oltre alla creazione di prototipi e alla pazzia dei 3 giorni di intensa attività (vi assicuriamo che se si lavora dalle 8 alle 11 in un museo qualcosa di folle accade per certo), deve essere consapevolmente progettato. Energia e tempo sono necessari per vedere un reale cambiamento nei meccanismi e nelle dinamiche proprie della relazione visitatore-museo. Per animare e coinvolgere una community servono quasi tutti i 365 giorni dell’anno; bisogna attivare connessioni, sperimentare partnership e organizzare aperomix!
È indispensabile quasi un intero anno per coltivare e gestire il rapporto che nasce tra Museomix e gli spazi culturali che scelgono di farsi remixare. Non è semplice, perché Museomix scardina le logiche in un modo del tutto particolare di fare audience development. Da un lato il museo ha bisogno di tempo per capire a fondo lo spirito creativo dei mixer che chiedono spazi e strumenti; dall’altro gli organizzatori devono ben comprendere quali siano le esigenze e le necessità del direttivo museale.
Se non si costruiscono relazioni di fiducia e non si comprende realmente la filosofia, gli obiettivi del format, quali open innovation, co-creazione, scambio di competenze, apertura e coinvolgimento del pubblico, possono venire meno e perdere di significato. Se, dall’altro lato, però Museo e mixer s’incontrano, quello che nasce è davvero innovativo e si raggiunge il comune obiettivo del coinvolgimento dei pubblici attraverso un rapporto che sia realmente sostenibile e continuativo tra il museo e il territorio.
Da Mons portiamo a casa nuovi stimoli, idee, amici che operano nel nostro settore ma non solo con cui continuare a confrontarci. Ma, soprattutto torniamo con tanta voglia e spirito d’iniziativa: si dice che Museomix nel 2019 tornerà in Italia e non vedo l’ora di saperne di più!
Alice Balerna per BAM! Strategie Culturali