Contenuti online di qualità, facilmente accessibili.
Viviamo in un’epoca in cui archivi, biblioteche e gallerie digitali sono sempre più necessari, costringendoci a diventare più tecnologici e curiosi.
Il dibattito attorno alle istituzioni culturali in questi mesi di pandemia globale, che ci ha impedito di viaggiare e fruire dal vivo del patrimonio culturale, ha assunto sfaccettature nuove. Molte le analisi, approfondimenti e articoli che si sono concentrati sulla capacità delle istituzioni di mantenersi aperte alle visite virtuali e accessibili, nonostante la chiusura forzata dei luoghi fisici, e sulle competenze dimostrate nel raggiungere e coinvolgere pubblici diversi. La lente di ingrandimento è stata puntata su tutto il lavoro che le istituzioni stanno svolgendo sulle piattaforme social e digitali, per avvicinare nuovi utenti e non lasciare a bocca asciutta il pubblico più affezionato.
Prendiamo i musei, per esempio. Durante il Covid 4 musei su 5 hanno aumentato i loro servizi digitali per raggiungere il proprio pubblico, spesso assegnando al personale nuovi compiti per far fronte alla necessità di creare un maggior numero di contenuti multimediali. Lo leggiamo nel report di NEMO – Network of European Museum Organisations, realizzato a seguito di un’indagine che ha raccolto 1.000 riposte tra il 24 marzo e il 30 aprile 2020 da musei di 48 paesi, la maggior parte europei. Quasi la metà degli intervistati ha dichiarato che il museo in cui operano sta fornendo uno o più nuovi servizi online.
Nonostante gli sforzi, solo 2 musei su 5 hanno visto crescere i visitatori online, con un aumento compreso tra il 10% e il 150% durante il periodo di riferimento.
Era prevedibile: quelle che sono riuscite a offrire i servizi migliori, a stupire e rendere partecipe il pubblico davanti a uno schermo sono state le istituzioni che, oltre a un bravo social media manager, già avevano ottime basi di contenuti online e piattaforme pensate per consentire un accesso da remoto alle collezioni. Mentre le improvvisazioni basate su racconti superficiali hanno presto stancato il visitatore, una volta giunto in vicoli ciechi causati dall’assenza di percorsi da esplorare o narrazioni in cui riconoscersi.
La nuova Estense Digital Library
Tra le istituzioni che da tempo lavorano per digitalizzare e rendere fruibile il proprio patrimonio ci sono le Gallerie Estensi di Modena, Sassuolo e Ferrara, con l’ambizioso progetto Estense Digital Library, oggi online e fruibile da chiunque. Lo abbiamo potuto conoscere e seguire fin dai suoi primi passi, molto tempo prima del diffondersi del Coronavirus, grazie alla nostra attività di affiancamento nella comunicazione digitale che, da gennaio 2019, svolgiamo per questa istituzione.
Dietro a quella che è la piattaforma di consultazione dei fondi digitalizzati della Biblioteca Estense Universitaria di Modena, online da poco più di un mese, ci sono mesi di lavoro di ricognizione, restauro, scansione con speciali macchine e metadatazione di fondi librari, carte geografiche, spartiti musicali, a opera di una équipe composta da diverse organizzazioni (Franco Cosimo Panini, Hyperborea, MLOL, Halta Definizione e UniMoRe).
Tutto questo ha reso possibile entrare virtualmente nella biblioteca modenese e sfogliare preziosi codici miniati, spartiti musicali e antichi manoscritti, in altissima risoluzione e non solo… Il protocollo internazionale interoperabile per la condivisione delle immagini “IIIF”, pensato per facilitare l’accesso agli archivi e alle biblioteche di tutto il mondo, è una tecnologia open source, adottata da Estense Digital Library ma anche da Biblioteca Apostolica Vaticana, Bodleian Library di Oxford e Smithsonian, per citarne alcuni, che permette all’utente di creare un proprio profilo, svolgere ricerche, appuntare le proprie annotazioni sui contenuti di interesse, raccoglierle in un quaderno personale e, infine, editare i ritagli di immagini.
Un esempio di applicazione molto concreto della piattaforma e già testato con successo, è l’utilizzo delle immagini in alta risoluzione da mostrare nei dettagli, durante le visite guidate virtuali sul Google Meet, che le Gallerie Estensi hanno svolto a partire dal 19 aprile, in pieno lockdown, per utenti singoli e scuole, servendosi di una guida in carne ed ossa, molto preparata sulle collezioni e sull’utilizzo delle risorse digitali, perfettamente in grado di creare interessanti collegamenti ipertestuali, ben oltre le mura delle sedi estensi.
Estense Digital Library rappresenta una risorsa preziosa per tutti gli studiosi, uno strumento di approfondimento per i docenti ma anche un’enorme galleria di immagini da cui lasciarsi ispirare per tutti gli appassionati di arte e opere a stampa. Lo spiega meglio Andrea Zanni di MLOL – piattaforma su cui gira Estense Digital Library e molte altre biblioteche del mondo, messe così in rete – in questo video:
Tuttavia strumenti ricchi, complessi e che richiedono un certo grado di abilità informatica, hanno ben poche probabilità di catturare l’interesse del grande pubblico, se non vengono anche forniti gli strumenti per capirne le potenzialità o se non mette a disposizione una forma di mediazione nel loro utilizzo.
Oltre oceano è nata Open Access
E veniamo quindi a un caso che fa scuola, in tutti i sensi (soprattutto dal punto di vista dell’accessibilità): abbiamo citato tra le istituzioni internazionali che adottano il protocollo IIIF the Smithsonian Institution, non a caso. Pochi giorni prima che l’Italia imponesse il lockdown, quando gli USA sembravano ancora al riparo dalla pandemia, è stato lanciato il progetto Smithsonian Open Access, la piattaforma su cui è possibile ricercare, scaricare e ri-utilizzare milioni di immagini gratuitamente, senza fare richieste di autorizzazione. Lo dice il nome stesso, facile da ricordare e immediatamente comprensibile: Open Access, accessibile e aperto, appunto.
I circa 3 milioni di contenuti di immagini, modelli 3D e dati di varia natura, messi a disposizione della collettività, provengono dai 19 musei dello Smithsonian, dai 9 centri di ricerca, da biblioteche, archivi e dallo Zoo Nazionale. E la nuova piattaforma su cui sono ospitati è strutturata per guidare l’utente tra i contenuti in base alle sue necessità.
Open Access offre diverse feature, rivolte a pubblici differenti a partire dai più smanettoni. Dalla home infatti è possibile accedere alla piattaforma che ospita tutti i meta dati dell’archivio digitale: ben due secoli di informazioni legate alle immagini! C’è poi la sezione dedicata ai modelli 3D, dove è possibile osservare a 360° oggetti provenienti da tutti gli istituti Smithsonian: sculture, motori di automobili, fossili, modellini di architettura… Il tutto, come sempre, filtrabile attraverso grandi voci su un menù a tendina, per tipologia e collezione di appartenenza.
Un focus particolare lo merita il Learning lab, pensato per supportare utenti, insegnanti e studenti nel corretto utilizzo di Open Access. Qui viene spiegata la licenza CC0 e l’utente viene guidato a un corretto uso delle immagini, viene illustrata la composizione dell’intero archivio digitale, a partire dalla differenza sostanziale tra Risorse e immagini. Una guida aiuta il ricercatore a compiere i giusti passaggi e a creare una propria collezione di oggetti e condividerla con gli altri. Questi sono solo i primi passi da compiere, per arrivare, una volta che si diventa pro, a creare il proprio Collagasaurus, seguendo i consigli esperti di James Smithson, fondatore dell’istituzione.
Una persona mediamente curiosa non faticherà a trovare contenuti di interesse all’interno della piattaforma, così ben concepita dal punto di vista della user experience da rendere l’utente fin da subito autonomo nell’esplorazione e indirizzarlo verso contenuti di suo interesse. Ne consegue che il tempo medio trascorso dal visitatore tra le pagine di Open Access sarà piuttosto alto.
Il sito pubblica anche i dati relativi all’utilizzo della piattaforma, filtrabili per tipologia di contenuto e per collezione di provenienza. Non contiene i dati di permanenza media sul sito ma, facendo un rapido calcolo, il rapporto tra le visualizzazioni degli open asset e gli asset che sono effettivamente stati scaricati sui dispositivi degli utenti nel primo semestre del 2020, è del 6% un buon tasso di conversioni, se si pensa che solitamente un’istituzione può sperare di vendere 1 biglietto per ogni 1000 visualizzazioni online.
Quella che vediamo nella sezione dedicata alle statistiche di utilizzo, è una schermata con pochi numeri e di facile lettura, accompagnata da un testo che spiega come, grazie alle nuove tecnologie digitali, lo Smithsonian punta a raggiungere un pubblico molto più vasto rispetto al numero limitato di persone che visiteranno mai i suoi musei a Washington, DC e New York. L’obiettivo dichiarato di Open Access è il raggiungimento di un miliardo di persone in tutto il mondo, seguendo una strategia “digital first” e una nuova politica di “accesso aperto” ai contenuti con fini di ricerca ed educativi.
La dichiarazione dell’istituzione in merito al voler misurare l’engagement dei visitatori attraverso i dati raccolti dai diversi siti Web, social media e altre piattaforme digitali, strizza sicuramente l’occhio ai finanziatori privati e ai decision maker.
Anche i Teatri Lirici hanno da dire la loro
Ma, se volessimo tornare con i piedi per terra e terminare questa breve panoramica su esempi di istituzioni italiane che, diversamente dello Smithsonian, non possono contare su 1 miliardo e mezzo di dollari di budget annuo? Non bisogna fare tanta ricerca per trovare piattaforme digitali accessibili, facili da utilizzare e appetibili sia per semplici appassionati, sia per studiosi. Ne sono un esempio alcuni progetti digitali di teatri lirici, nati sulla piattaforma Archiui.
L’archivio del Teatro Regio di Torino mette a disposizione degli utenti online tutta la storia delle opere che sono state rappresentate nel teatro lirico sabaudo, complete di ogni tipologia di contenuto (immagini, video, libretti, protagonisti…) anche fruibile per percorsi tematici – anche se al momento le immagini non sono libere da copyright e quindi non utilizzabili dagli utenti in altri contesti. Sempre al Regio è in corso Regio Digital Board, un percorso biennale finanziato dal bando Open2Change di Fondazione Compagnia di San Paolo, finalizzato al coinvolgimento di pubblico giovane all’offerta e agli spazi del Teatro, anche attraverso l’ideazione di nuovi metodi che utilizzino strumenti digitali.
Ancora diverso “Nei Palchi della Scala” che mette a disposizione le vicende che si sono consumate tra i palchi del Teatro alla Scala, sulla poltrona che ospitava Alessandro Manzoni o nel posto preferito di Stendhal… Nato da un progetto di ricerca realizzato in collaborazione con il Conservatorio Giuseppe Verdi e la Biblioteca Nazionale Braidense, il portale digitale grazie al quale è possibile esplorare virtualmente i palchi scoprendo la storia e i frequentatori di ciascuno, anno dopo anno, è navigabile sempre su piattaforma sviluppata da Archiui.
Infine, possiamo dire che non concluderemo qui il discorso che abbiamo iniziato: questo mondo è in continua evoluzione e non possiamo permetterci di abbassare la guardia rispetto a nuovi casi studio che appariranno all’orizzonte, così come all’introduzione di nuove licenze d’uso delle immagini o tecnologie e applicazioni avanguardistiche. Contemporaneamente però, occorre non dimenticare che continuano a esistere i luoghi fisici della cultura, che necessitano anch’essi di cure e valorizzazione e, perché no, di sapere come accogliere un visitatore assetato di conoscenza, che si è lasciato affascinare e coinvolgere online, fino a voler macinare chilometri per vedere dal vivo l’oggetto del desiderio: il sogno di ogni operatore culturale.
Riferimenti:
- Museum during Covid: il monitoraggio di NEMO – Network of European Museum Organisations
- Estense Digital Library
- Una nuova digital strategy per le Gallerie Estensi
- Smithsonian Open Access
- L’archivio del Teatro Regio di Torino
- Regio Digital Board
- Nei Palchi della Scala
Tutte le immagini utilizzate a corredo del presente articolo sono tratte da Estense Digital Library (De Sphaera. Sphaerae coelestis et planetarum descriptio, anonimo, 1500, p. 19) e dalla piattaforma di The Smithsonian Institute, Open Access.